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I nostri Monasteri di fronte alla Pandemia – La Provincia

I nostri Monasteri di fronte alla Pandemia – La PROVINCIA

Carmelitane Scalze di Moncalieri

La preghiera, tampone del nostro tempo

“Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori,
perché egli nascesse cieco?».
Rispose Gesù: «Né lui ha peccato
né i suoi genitori” (Gv 9, 1-3)

La logica umana ad un’azione sbagliata presuppone un castigo, un modo cioè per riparare l’errore commesso. Il pensiero veterotestamentario presenta questa sfaccettatura assai accentuata; si pensi agli abitanti di Ninive, i quali sarebbero stati severamente puniti da Dio se non si fossero convertiti alla predicazione di Giona (Giona 3). La tendenza era quella di associare i ragionamenti e le intenzioni umane a Dio, solo a questa condizione possiamo interpretare i versetti del salmista “Siamo distrutti dalla tua ira, atterriti dal tuo furore” (Sal 89), “Perciò il Signore, quando l’udì, s’adirò aspramente e un fuoco s’accese contro Giacobbe; La sua ira si infuriò contro Israele” (Sal 78), oppure “Perciò giurai nella mia ira: «Non entreranno nel mio riposo!»” (Sal 95), nei quali Dio è in preda al furore e punisce con sventure e sciagure.

Il Nuovo Testamento propone invece una nuova prospettiva, che scardina il legame peccato – punizione divina: nell’episodio del cieco nato (Gv 9, 1- 41) Gesù assicura ai discepoli che non ha peccato né lui né i suoi genitori, perché si manifestasse la cecità.
Non posso pensare ad un Dio che piuttosto che esercitare la Sua onnipotenza nell’amore, capace di piegare anche i cuori più induriti, punisce senza limiti un singolo o perfino popoli. L’amore non ha bisogno di imporsi con castighi e flagelli, ma trionfa rispettando tempi e libertà . Dio è Amore (1Gv 4, 8) al grado perfetto, quindi come dice San Paolo nel celebre inno alla carità (1Cor 13, 4-7): “La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta”.
Il Signore passa direttamente all’azione, perché l’amore è concreto; nel caso del cieco nato gli tocca gli occhi con fango e saliva, gesto di grande intimità, nel nostro contesto invece aspetta che noi ci avviciniamo per farci guarire, per iniziare una relazione profonda con Lui. Gesù non dà lezioni di dogmatica o di teodicea, ma affronta il male con noi, se accettiamo di accogliere la Sua Grazia, la Sua presenza, la Sua amicizia.
In questo tempo di coronavirus, non dobbiamo andare alla ricerca di colpe, colpevoli o di una “religione” che faccia da amuleto. Dovremmo piuttosto coltivare la fede, ovvero la confidenza con Gesù per avere speranza, cioè vedere dov’è la luce in questo periodo, in cui tutto intorno sembra buio.
Bisogna recuperare e riscoprire il gusto, la profondità e il significato della preghiera sincera, fatta con il cuore. La preghiera aiuta ad affrontare, a non dimenticare che Dio è dalla nostra parte, non a convincerLo di salvarci. Di questo penso sia già convinto da solo. Ecco il senso della preghiera, e siamo invitati a farlo anche per chi non crede, per chi muore nella solitudine, per chi si sente abbandonato, dimenticato, per chi non ha forza per andare avanti, per chi è in difficoltà, affinché non si senta solo e desolato, ma profondamente amato da Dio, che lo aiuta e gli sta vicino anche se è in isolamento o in quarantena, se ha perso i propri cari, se è sfinito e logorato dal lavoro.
La preghiera ricorda che in qualunque modo finirà la nostra storia, essa finirà nelle braccia di Qualcuno che consideriamo Padre. Pregare aiuta a non dimenticare i valori non influenzabili da un virus, che per riscoprire è necessaria una ‘sana ecologia del cuore’, secondo le parole di Papa Francesco, ovvero una pulizia interiore attuabile partendo dalla riflessione su ciò che conta davvero

Carmelitane Scalze di Piacenza

La nostra vita in questo tempo così intenso

La nostra vita quotidiana non è cambiata tantissimo, sicuramente meno di quella di tanti altri, essendo già abituate a “non uscire” e a “lavorare da casa”. Solo non avendo la Celebrazione Eucaristica quotidiana abbiamo modificato un poco l’orario del mattino (un’ora completa di orazione e Celebrazione delle Lodi con la comunione dalla riserva eucaristica che i nostri sacerdoti non ci hanno mai fatto mancare) e poi, sicuramente l’organizzazione del Triduo pasquale in cui abbiamo seguito le celebrazioni via streaming, in parte quelle del nostro Vescovo, in parte quelle di Papa Francesco. Per il 25 marzo e il Giovedì santo, invece, il nostro Vescovo è venuto a celebrare l’Eucaristia con noi e il giorno di Pasqua abbiamo celebrato con il Vicario generale della nostra Diocesi. In confronto a quanto sono stati scardinati gli stili di vita degli altri, quindi, il nostro ritmo non è cambiato tanto, però abbiamo potuto percepire con forza questo tempo. Sicuramente l’esperienza con sr Giovanna, una nostra sorella anziana che quando è scoppiato tutto si trovava in clinica per la riabilitazione, è stata un momento molto forte, soprattutto perché abbiamo dovuto decidere se portarla a casa o, dato il forte rischio che fosse stata contagiata, lasciarla in clinica per un altro periodo. Non è stato un discernimento facile, anche perché le posizioni fra noi erano diverse e il rischio per le numerose anziane della nostra comunità reale, ma alla fine, seguendo il consiglio di alcuni amici medici, abbiamo deciso di riportarla a casa tenendola in isolamento in foresteria per la quarantena con sr Maria Agnese che si è offerta di andare con lei per assisterla. Fortunatamente la quarantena si è conclusa senza sintomi covid, ma iniziando a mostrare i sintomi di quello che si sarebbe poi rivelato un tumore al cervello. Adesso sr Giovanna è ancora in ospedale dopo l’ultima crisi e tornerà in comunità non appena saranno terminati gli accertamenti. Queste esperienze di fragilità che possono creare angoscia davanti alla sensazione di impotenza nel gestire la situazione, ci richiamano all’importanza di assumere responsabilmente le proprie emozioni con uno sguardo lucido per affrontare la situazione; Importanza di non farsi prendere dalla paura davanti alla situazione, tenendo gli occhi aperti ma senza lasciarsi travolgere e tenendo l’orientamento interiore.
Oltre a questa situazione comunitaria, è stato molto forte l’impatto anche con la situazione che si stava generando ‘fuori’ dalla clausura che abbiamo percepito soprattutto attraverso le notizie, le numerosissime sirene delle ambulanze e, soprattutto, le notizie di amici e conoscenti che sono stati contagiati e a volte ci hanno lasciato.
Abbiamo avvertito, con il lockdown, la frenata brusca davanti a un grande ostacolo e ci siamo lasciate coinvolgere da quello che stava succedendo. Sembrava impossibile che nel nostro mondo, con le possibilità odierne della scienza e della medicina, non si riuscisse far fronte a questa situazione. Le notizie di amici e parenti contagiati hanno generato anche in noi tanta ansia: la morte di don Paolo, sacerdote diocesano di 53 anni, la morte dello zio di sr Cecilia, la morte dello zio di sr Antonella. Situazioni in cui abbiamo messo tutta l’anima e in cui abbiamo sperimenti tutta la nostra impotenza. Situazioni che hanno richiamato alla memoria esperienze di dolore e lutto già vissute che hanno talvolta richiesto una nuova elaborazione.
D’altro canto, l’esperienza che anche quello che sembrava assoluto e inderogabile (scuola, lavoro, celebrazioni eucaristiche) potesse fermarsi, pur avendo scombinato tutti i nostri piani, è stato un momento molto forte e un’esperienza liberante che ci ha richiamate a un ritorno all’essenziale. Anche per noi, in particolare, l’ora completa di orazione del mattino, non essendoci la celebrazione eucaristica, è stato un tempo fondamentale e bellissimo. Ci ha aiutate molto la Parola quotidiana su cui, con la mancanza della Celebrazione Eucaristica, ci siamo a volte soffermate di più. “Avevamo bisogno di fermarci” (Mariangela Gualtieri). Al di là del fatto doloroso, di tutto il dolore che questa situazione ha creato, il mondo aveva bisogno di fermarsi. Questo è divenuto così anche un tempo che desta tante domande vitali su cui dobbiamo avere il coraggio di stare senza la pretesa di avere subito risposte perché le parole non coprano il desiderio di andare più a fondo. Una possibilità per convertire il nostro cuore, per tornare all’origine della vita, con più attenzione alle cose essenziali, ridimensionando le smanie di potere. Ci ha interrogate anche, a questo proposito, il divenire così comune della parola clausura. Le dinamiche della clausura fondate sul distanziamento, il silenzio, l’attenzione alle relazioni, l’interiorità come scoperta del nostro essere sono diventati vocabolario attuale. La ‘clausura’ a cui tutti sono stati chiamati in questo tempo, seppure imposta, tocca nodi vitali come quello del limite che ci sembra il messaggio più evidente di questa situazione: la presa di coscienza del limite umano. Questa dimensione potrà rimanere, anche perché la realtà ci costringerà sempre a fare i conti con ciò che di tremendo, di straordinario e di nuovo abbiamo vissuto e che può diventare un vaccino che scalfisce le nostre pretese e i nostri poteri. Nello stesso tempo, anche per noi è stata esperienza di riscoperta del coinvolgimento reciproco con la “comunità” esterna. Bello vedere il fermento e la vivacità della chiesa e della chiesa diocesana davanti a questa situazione.
La paura è che tutto riprenda come prima, che non si riesca ad andare in profondità. Il desiderio, che per ciascuno diventi occasione di trasformazione, che non venga persa la positività nascosta in tutto questo, che questo tempo non passi invano, ma lasci un segno in noi e in tutti con una ripresa più bella. Sicuramente questo cambiamento è affidato anche alla responsabilità di ciascuno di noi, non avviene spontaneamente. Siamo ormai nella fase di convivenza con il virus: non c’è più lo spavento iniziale, si sentono meno sirene delle ambulanze passare e si percepisce una spinta verso il ritorno alla “normalità”. In questa “fase 2” possiamo dedicarci a custodire e rielaborare quanto vissuto per portare nella vita “normale” gli stili, le esperienze, le posture interiori sperimentate in questo tempo e che non vogliamo perdere: la flessibilità, il ‘mollare la presa’, l’affidamento, l’attenzione alle piccole cose, la cura e la scelta dell’informazione, la possibilità di rispondere con creatività alle sfide che la storia ci pone, l’ascolto profondo della Parola che la realtà ha per noi.

Carmelitane Scalze di Legnano

“la vostra e la nostra clausura” – messaggio

La testimonianza è delle “vostre sorelle di clausura del Carmelo di Legnano”, affidata al sito della diocesi ambrosiana www.chiesadimilano.it, a partire dalla messa trasmessa in tv dal Policlinico di Milano (noto come “la Caa’ Granda) e celebrata dall’arcivescovo Mario Delpini. Una lettera dal monastero di clausura: «Pensiamo a voi che state vivendo un tempo di “chiusura forzata”. Così abbiamo sentito il dovere di far sentire la nostra voce. Nessuno è solo».

Oggi siamo “andate” a Messa al Policlinico di Milano, la Caa’. Ci ha invitato l’Arcivescovo in persona, così tutte abbiamo partecipato alla Messa (ovviamente alla TV).
La visione di una Chiesa spopolata di corpi di persone, del popolo di Dio, del corpo di Cristo che è la Chiesa fatta di persone, che siamo noi, tu, io, il tuo amico e il tuo nemico, la tua nonna e il tuo nipotino, ha fatto affiorare in ciascuna di noi un profondo senso di smarrimento, che ci sta, in una situazione del genere, anche in persone che dovrebbero vivere di fede.
Siamo ammutolite. Sì, ci siamo commosse e abbiamo pianto, proprio come Gesù ha fatto guardando Gerusalemme.
Il pensiero è corso fino a voi che in questo tempo state vivendo un tempo di ‘chiusura forzata’, di ‘clausura’ senza averla scelta come tipo di vita.
Vi abbiamo pensato, ci siamo chieste quali pensieri, quali preoccupazioni, quali ammutolimenti anche voi potevate provare, e così abbiamo pensato di scrivervi queste righe. Noi, che solitamente viviamo una vita ‘nascosta’, abbiamo sentito forte il dovere di farci presenti e far sentire la nostra voce.
Vorremmo dirvi che ci siamo, che quando sentite suonare le nostre campane a varie ore del giorno è perché stiamo andando a pregare, e con noi portiamo anche voi con i vostri fardelli e le vostre preoccupazioni.
Pensiamo alla vostra fatica nell’essere limitati negli spostamenti e nel dover vivere le relazioni in un’area ristretta che sono le mura di casa.
E, mentre pensiamo e immaginiamo queste fatiche, insieme c’è la certezza che ognuno di noi, di voi, ha dentro di sé le risorse per vivere questo momento. Risorse che sono spettacolari soprattutto quando sono provocate dall’amore verso qualcuno, quando qualcuno che amiamo ha bisogno di noi. Siamo veramente capaci di superare l’istinto di sopravvivenza che ci rende custodi del nostro io, per compiere gesti piccoli o grandi di dono di sé all’altro. Nulla è perduto di ciò che facciamo.
La Ca’ Granda…
È significativo il nome.
Ci stiamo tutti, lì, nella Chiesa, siamo tutti accolti, perché è ‘Granda’ non solo di spazio ma di cuore e di accoglienza, come vorremmo fosse il nostro e il vostro cuore per accogliere tutte le fatiche e le sofferenze di tutti noi che, chi più, chi meno, è provato. Tutti abbiamo bisogno di trovare chi con il balsamo della comprensione, e della compassione ci aiuta a superare questo momento.
Nessuno di noi è solo, siamo una comunità di esseri umani, fragili, ma solidali. Coltiviamo questo senso di appartenenza gli uni agli altri. È essere responsabili cioè rispondere del proprio fratello, e questa è la nostra forza.

Carmelitane Scalze di Lodi

A proposito di Pandemia

Da oltre due mesi ci troviamo nell’epicentro dell’emergenza sanitaria che è iniziata proprio nel nostro territorio e si è manifestata qui in maniera pesante e sofferta. Condividiamo con la nostra gente le angosce, il dolore, lo smarrimento, le preoccupazioni che abitano pensieri e sentimenti di tutti in queste settimane di tribolazione. E ancora l’alba di un nuovo giorno è solo intravista da lontano…
Sempre risuona nella memoria del cuore il sibilo lancinante delle ambulanze che sfrecciavano ad intermittenza frequente sulle nostre strade, cupo e doloroso presagio di malattia grave o di morte.
E non riusciremo mai a cancellare dalla mente le notizie strazianti dei decessi nella solitudine e nell’abbandono delle persone care, come pure delle tumulazioni senza esequie e a volte senza la presenza dei familiari.

Le nostre giornate, per il vero, sono trascorse al solito ritmo, senza variazioni notevoli. Solo quelle imposte a tutti dalle autorità civili ed ecclesiali. Già la normale vita di clausura non ha richiesto ulteriori restrizioni governative, e il nostro Vescovo (grazie anche alla sollecitudine dei nostri sacerdoti) ci ha sempre assicurato la celebrazione eucaristica quotidiana, privilegio incomparabile!
Più che da modifiche esterne, la vita monastica è stata scossa da un intimo e intenso travaglio, dalla tensione interiore per tener viva la speranza, la fede e la carità, perché dai nostri cuori fossero travasate nelle anime di tutti.
È arduo sintetizzare le nostre esperienze, che abbiamo fraternamente condiviso, senza trascurare dettagli e sfumature importanti. Perché niente è banale quando si tratta del lavorio del cuore!
Ma tentiamo di dirne qualcosa, senza pretese.

-“Fermatevi e sappiate che io sono Dio”. La parola del Salmo ci è risuonata dentro come un richiamo forte al riconoscimento dell’assoluto primato della signoria di Dio. Sì, non distrazione nelle notizie e dispersione dei sentimenti, ma attrazione verso il centro, raccoglimento in Dio, esigenza forte di stare davanti a Lui per tutti. Volontà, dunque, di “ricentrarci” non per isolarci dal contesto sofferto del nostro popolo, ma per rimanere ancor più nel Cuore.

-Un senso di impotenza sofferta ci ha pervaso di fronte al doloroso sconcerto di molti. Un virus invisibile e piccolissimo ha generato un’immensità di male, che ancora sconvolge inarrestabile il pianeta intero.
Sempre è però prevalsa la certezza che il granello invisibile di senape ha una potenza rigenerante ancor più forte. Il bene, anche se nascosto, è più potente del male.
Le nostre piccole fedeltà, le infinite minuzie cariche di amore di cui può essere costellata una giornata carmelitana sono in grado di sprigionare una carica di bene che pervade il mondo e travalica la storia.
È qui che soprattutto si è focalizzato il nostro impegno.

-Abbiamo poi avvertito più che mai la solidarietà con la gente, soprattutto con i sofferenti, con i piccoli e i poveri, con i molti che – a vario titolo – hanno fatto appello alla nostra offerta e alla nostra preghiera. Anche alcuni nostri familiari sono stati pesantemente aggrediti dal virus ed ora, grazie a Dio, stanno meglio, ma il rischio di contagio rimane altissimo e l’allerta è sempre viva.
Ne abbiamo raccolto e custodito le lacrime, abbiamo ascoltato domande, dubbi, tormenti; laddove possibile abbiamo con umiltà istillato fiducia e consolazione.
Ma abbiamo anche condiviso speranze, progetti, fatiche di operatori sanitari e sociali, di tanti “santi della porta accanto”, di molti testimoni eroici del Vangelo.
Quante esperienze di fede genuina e solida, semi di speranza, gesti di carità nascosta sono venuti a galla in questi mesi … e ancora emergeranno via via dalla marea di dolore che si è riversata nelle nostre città e paesi! Notizie buone che fanno circolare il bene e che abbiamo voluto cogliere come spiragli di luce nelle tenebre di questo momento storico travagliato.
Abbiamo avuto modo di edificarci di tante testimonianze di vita che ci hanno davvero scaldato il cuore.
Medici e infermieri nostri conoscenti che hanno dimostrato una dedizione splendida in momenti di grave emergenza con sussulti di umanità e di carità veramente commoventi.
Volontari ed enti caritativi che non hanno misurato le forze spendendosi fino all’estremo per farsi strumenti della Provvidenza.
Sacerdoti, religiosi e religiose consumati dal loro ministero di carità, di consolazione, di servizio a Dio e al prossimo fino alla fine, e creativi nell’azione pastorale pur di arrivare a tutti o di alleviare le varie solitudini.
Famiglie radunate nella preghiera e nell’ascolto della Parola in raccolte “liturgie domestiche”, che certo hanno partecipato alla Liturgia del Cielo.
Di tutto ci siamo rallegrate, avendo toccato con mano la bellezza e la fecondità di queste testimonianze. Potremmo davvero raccogliere un ricco florilegio di quadretti di sapore evangelico!

-La fragilità della vita, che in un attimo può essere totalmente sconvolta fino anche a spegnersi all’improvviso, ci si è presentata in tutta la sua verità e gravità. Questa dovrebbe aver scosso la coscienza di tutti. Certamente ha richiamato ciascuna di noi agli elementi essenziali della nostra vocazione: l’intercessione per tutti, la centralità assoluta della relazione col Signore, la partecipazione alla passione di Gesù come atto redentivo, l’essere testimoni di speranza pure nei momenti più bui, l’offerta della vita anche nei piccoli o grandi atti di carità fraterna, uno stile di sobrietà fondato sull’essenziale.
Sono appelli salutari ad una qualità di vita più autentica.

-La nostra vita liturgica è stata ancor più sentita del solito perché intrisa dalla grazia di questo tempo di tribolazione. Mai come quest’anno la Liturgia della Quaresima ci è apparsa espressione viva di ciò che i nostri cuori sentivano. Mai la salmodia ci è risuonata dentro così vera, così carica di consapevolezza orante, così fiduciosamente fervorosa.
L’Eucaristia quotidiana, dono preziosissimo, riscoperto come del tutto gratuito e mai “scontato”, è stata vissuta in tutta la sua centralità col vivo desiderio di far partecipe della comunione tutto il popolo di Dio e di intessere eucaristicamente la nostra giornata.
Il dono delle indulgenze attinte dal tesoro della Chiesa, largamente dispensato in questo periodo di emergenza, ci ha visto sollecite e grate fruitrici.
La parola del Papa, specialmente nel momento di preghiera in San Pietro del 27 marzo, ha catalizzato la nostra attenzione e accompagnato le ore difficili di queste lunghe settimane.
Ci siamo servite di vari mezzi di comunicazione per rimanere in contatto con la Chiesa e il mondo sofferente.
Oltre alla preghiera del 27 marzo e alla Veglia Pasquale seguite in streaming in comunione con il Santo Padre, abbiamo usufruito di Skype per qualche video-conferenza formativa, ottime occasioni anche per mantenere il collegamento con i nostri Padri.

È proprio vero che chi cerca il Signore non manca di nulla! Siamo state fatto oggetto di attenzione da parte di molti, che si sono resi disponibili in vario modo per mille piccole necessità, anche andando oltre il nostro bisogno e le nostre richieste. Di tutto rendiamo grazie a Dio!

Che aggiungere? Si apre ora una nuova fase e tutti dicono che niente sarà più come prima, anche se nessuno è in grado di prevedere come sarà il domani.
Noi preghiamo perché tutti sappiamo far tesoro di questo tempo di prova, che sicuramente ci ha segnato e ferito. Più che di parole, ora abbiamo bisogno di tacere, per portare umilmente a Dio i pesi dei nostri fratelli e accogliere con amore la sua volontà di bene per il mondo.

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