Persona con mascherina per proteggersi

Frati, monache e laici carmelitani di fronte alla pandemia

Frati, monache e laici carmelitani di fronte alla pandemia

Fraternità di Lessolo

Certo è stata un’amara sorpresa vedersi negare i più elementari diritti di viaggiare, di incontrarsi, in un continuo crescere di restrizioni, fino a essere confinati in casa o dove ci si trovava in quel momento, a dover imparare nuove norme igieniche, a guardarsi in faccia e chiedersi perché? Cosa sta succedendo di così grave? E come per tutti, anche per noi sette presenti in comunità è iniziato il succedersi di notizie sempre più allarmanti sul contagio e la sua diffusione trasversale. Tutti erano a rischio di essere colpiti, di diventare untori, a meno di osservare scrupolosamente l’isolamento e rifiutare ogni visita, ogni incontro non strettamente necessario. Per questo qualcuno di noi, tornato appena in tempo prima del blocco, ha scelto di farsi due settimane di isolamento, per precauzione. E così siamo rimasti confinati in casa e dintorni, a scoprirci comunque privilegiati, visto che la casa è grande, l’orto molto esteso, e con la possibilità di piccoli allevamenti. Il nostro ortolano è rimasto bloccato in famiglia in Bangladesh, per cui l’orto ospita più erbe che buone verdure.

Un cambiamento che ci ha colpiti come fraternità è stato l’assoluta assenza di visite e arrivi di amici e conoscenti; non più una macchina in cortile oltre le nostre allineate e ferme. La sola eccezione è la volante dei carabinieri che vengono ad ore diverse e anche inopportune, al controllo del detenuto che vive con noi. Altrimenti solo Mario si azzarda per tutti a fare le spese necessarie e come parroco delle sue 4 parrocchie, a fare i dovuti e numerosi funerali; anche qui con un rito quasi disumano, senza partecipazione desiderata.
L’altro fatto imprevisto per i due di noi, occupati nelle parrocchie, è l’aver dovuto rinunciare ad ogni celebrazione liturgica, compresa la Pasqua; noi e i parrocchiani; mai successo. A questo silenzio si rimedia in qualche misura con telefonate, con l ‘invio di messaggi, di testi e di una ‘lettera’ che racconti in modo accattivante, il tema delle letture domenicali. Qui in fraternità abbiamo continuato a celebrare la messa al sabato sera, solo tra di noi, o con qualche collegamento con parenti e amici. Il 18 aprile, abbiamo ricordato con semplicità, i dieci anni dalla morte del nostro Giuliano.  Oltre alla messa comunitaria del sabato, abbiamo sempre tenuto fede alla lectio del mercoledì sera, sulle letture della domenica seguente.
Questa epidemia ci ha anche sconvolto il programma per il cinquantesimo della nostra Fraternità; alcuni incontri, fortunatamente li avevamo già fatti. Altri sono stati rimandati.
Chiara e Davide che hanno impegni come insegnanti, lo esercitano in modo soddisfacente on line, collegati con Skype. Abbiamo avuto tempo e modo di scoprirci tutti cuochi, finora senza danni eccessivi.
L’isolamento forzato ci ha regalato molto più tempo per stare tra di noi, per scoprirci più famiglia e capaci di attenzioni gli uni per gli altri. Per capire che senza relazioni e incontri veri si vive in un mondo irreale, mutilati sul lato umano e affettivo. Senza poter dare la colpa a nessuno. O forse anche a noi stessi che da anni abbiamo dissestato e sconvolto gli equilibri della natura e i processi naturali per produrre  di più a vantaggio di pochi.
Sembra che la terra possa vivere bene anche senza di noi. Mentre è certo che noi non possiamo farne a meno.  Come è certo che siamo ricchi di fragilità, tutti, piccoli e grandi: un virus invisibile ferma il mondo. Che ci serva per riprendere le misure!

Il Carmelo di Parma tra clausura e lockdown

Cari Amici,

«…tanto, siamo di clausura!»: così commentavamo fra noi quando si cominciava a parlare sempre più insistentemente di una quarantena nazionale che avrebbe chiuso tutti in casa. Insomma, eravamo convinte che i provvedimenti anti-contagio non ci avrebbero toccate più di tanto. E in parte avevamo ragione. Ma solo in parte. Perché in realtà l’esperienza del lockdown e della pandemia ad esso connessa ci ha coinvolte oltre le nostre previsioni. Prima di tutto, perché abbiamo condiviso la sofferenza di migliaia e migliaia di nostri fratelli colpiti dal virus direttamente o nella persona dei familiari; così come abbiamo partecipato ai disagi del personale ospedaliero e a quelli di tanti italiani che hanno patito l’isolamento o hanno avuto conseguenze nefaste sulle loro attività lavorative: una condivisione non malgrado la clausura, ma proprio per la clausura, che ci «abilita» a sentire come nostri i dolori del mondo e a portarli davanti a Dio nella preghiera. Quanto al senso di precarietà e dipendenza da Dio che il virus ci ha insegnato… non c’è bisogno di parlarne: abbiamo frequentato tutti la stessa lezione! Poi, perché in una vita regolata al millimetro come la nostra, i più piccoli cambiamenti sanno di rivoluzione: e di cambiamenti il virus ce ne ha fatti fare tanti! La Santa Messa, innanzitutto: per qualche giorno eravamo riuscite ad avere una celebrazione tutta per noi, in coro. Ma i bravi padri indiani che venivano a presiedere, con l’aumentare delle restrizioni, non hanno più osato uscir di casa, anche perché nel frattempo erano già incappati nella polizia: a quel punto non abbiamo insistito, anche a motivo della loro delicata posizione di stranieri. Così, già in marzo siamo rimaste senza Messa, con due eccezioni, però: il 19 marzo i Minori Conventuali presenti in Parma hanno decretato che il giorno di San Giuseppe le figlie di Santa Teresa non potevano stare senza Messa e così, con francescana disinvoltura, uno di loro è arrivato in monastero come se niente fosse e ha celebrato! Altra bella eccezione, il giorno di Pasqua. Con la scusa di doverci portare un rifornimento di «benzina» (leggi: denaro liquido prelevato in banca…), il nostro Padre Renzo ha anche celebrato! Negli altri giorni abbiamo effettuato una Liturgia della Parola che si è andata sempre più rodando e arricchendo: canti, tempi di silenzio e, negli ultimi tempi, una «nuova» libertà espressiva, data in particolare dalle risonanze dopo il Vangelo, arricchite da piccoli ma intensi commenti lasciati alla sensibilità, alla discrezione e… all’ispirazione di ciascuna. La Comunità ha apprezzato questa novità liturgica, al punto che l’abbiamo poi mantenuta anche dopo la fine del lockdown, nei giorni feriali e in sostituzione della consueta omelia. Una menzione speciale va al Triduo Pasquale. Il Giovedì Santo ci siamo raccolte in cripta, allestita come una mensa (abbiamo proprio delle brave scenografe!) dove il posto d’onore era riservato – in mancanza della Celebrazione Eucaristica – al leggìo con la Parola del Signore. Letture, silenzi, meditazioni, e alla fine la Comunione: il tutto in un clima intimo, familiare e solenne allo stesso tempo: come deve essere stata l’Ultima Cena… Preparata e curata in ogni particolare anche la Veglia Pasquale, alla quale – piccolo gregge senza Pastore… – abbiamo cercato di dare la massima solennità possibile. Abbiamo ancora sotto gli occhi la bellissima cerimonia dell’accensione del cero, nel giardino del chiostro, fatta con un suggestivo fuocherello di sterpaglie accuratamente predisposto. Naturalmente ci è scappato l’inconveniente: e cioè sul più bello scopriamo che il cero era ancora in sacrestia… ma il fuocherello (sempre più flebile… che momento di suspence!) ha avuto l’accortezza di spegnersi un secondo dopo che il cero – dopo l’immaginabile corri-corri – era stato recuperato e acceso! Ancora due forme di partecipazione al disagio comune: il digiuno, che abbiamo effettuato con tanto amore e come meglio abbiamo potuto (tenendo conto dell’età e dei bisogni dei singoli…) nelle giornate proposte dal Santo Padre, del quale abbiamo anche seguito la preghiera nella Piazza San Pietro deserta; e la confezione di mascherine: centinaia e centinaia, che abbiamo poi donato a delle infermiere di nostra conoscenza e fiducia perché le distribuissero secondo il loro criterio. Particolarmente caldo è stato anche il telefono; la lunghezza delle giornate chiuse in casa ha spinto un’infinità di persone a fare il nostro numero e a chiedere come stavamo… Già, come stavamo? Abbiamo preso tante precauzioni e la maggioranza della comunità è stata proprio bene, comprese le due decane di 95 e 96 anni. Però, però… qualche colpo di tosse in più del dovuto e una febbre non alta ma irriducibile, ci ha indotte a chiedere il tampone per la Madre e una delle sorelle polacche. Un’avventura! Dopo qualche giorno dalla nostra richiesta vediamo arrivare due astronauti, bardati all’inverosimile. I quali hanno decretato: Tosse? Allora è coronavirus. E certamente lo avrete tutte. Quindi il tampone è inutile. Hanno alzato il tacco e se ne sono andati con la loro brava bardatura, lasciandoci su due piedi a sgranare gli occhi incredule! Nuova richiesta di tampone, stavolta andata a buon fine: sia perché è stato effettuato, sia perché – grazie a Dio – è risultato negativo! Ma il medico che ha «presieduto» l’operazione-tamponi afferma che secondo lui tutta la comunità ha avuto il virus: semplicemente, non se ne è accorta. Può darsi… crediamogli pure, visto che a questo punto ormai si paga tanto uguale!

Le Carmelitane di Parma

Comunità OCDS Piacenza

Pensieri e riflessioni sulla situazione attuale raccolti dai colloqui
telefonici con le nostre consorelle.

Abbiamo dovuto sospendere la Giornata Comunitaria mensile, ma ci siamo mantenuti in contatto tramite un gruppo creato su whatsapp, in cui abbiamo pubblicato riflessioni sul Vangelo del giorno, inviti alla preghiera, saluti, ricorrenze e cordialità varie. Il gruppo è molto seguito da coloro che hanno accesso alle attuali strumentazioni tecnologiche.
Con coloro che non utilizzano whatsapp, e anche con gli altri, ci si è sentiti periodicamente al telefono e dai vari commenti, è emersa una situazione di perplessità e insicurezza, di paura, si dice che sono tempi strani, assolutamente singolari; l’incertezza legata al proprio e altrui futuro, sembra essere costante e quotidiana. La triste conta dei nuovi contagiati, deceduti, guariti, sembra portare alla memoria di alcune consorelle più anziane, l’esperienza vissuta durante la guerra, e dicono: “Allora, come oggi, non si aveva certezza di poter arrivare alla sera della giornata che si apriva ad ogni alba”. mentre le giovani generazioni sono cresciute ignare di questo passato. Tanto che nei primi giorni della pandemia a qualcuno dei più giovani, era tornata alla memoria, come esperienza diretta, la grande nevicata del gennaio 1985, che aveva paralizzato gran parte della Penisola, ma con il protrarsi dell’allarme e una crescente diffusa preoccupazione erano tornati in mente i giorni successivi agli attentati dell’11 settembre 2001. Queste erano inizialmente le ultime emergenze di cui la memoria ci offriva il ricordo.
Purtroppo con la sospensione delle attività lavorative e scolastiche disposta dal governo è parso evidente che il nemico era ben più insidioso e minaccioso del tempo atmosferico, degli attentati, del terrorismo stesso.
Tutti allora abbiamo dovuto ridimensionare la concezione che avevamo “dell’onnipotenza dell’uomo”, della scienza della tecnologia, e scoprirci invece esseri vulnerabili e impotenti, pur in mezzo a tanto progresso, a tanti protocolli, a tante scoperte scientifiche. Il limite umano rimane infatti l’elemento costante che abita le nostre riflessioni nelle pur diverse generazioni e che ci ricorda la naturale condizione di povertà, di impossibilità a superare, da soli, particolari momenti difficili.
C’è chi si chiede, ma cosa sta succedendo? Perché ci è arrivata addosso questa bufera che sta travolgendo tutto il mondo? Sono interrogativi difficili. Se leggiamo la Sacra Scrittura, troviamo che se li poneva anche il popolo ebraico quando era sconvolto da guerre e deportazioni e temeva per la sua stessa sopravvivenza. La risposta gli giungeva dai profeti ed era una risposta illuminata dalla fede. Essa conteneva sempre un chiaro invito: “Dio vi chiede di convertirvi”. Forse anche a noi Gesù risorto vuol dire qualcosa di molto importante in questo momento di grave insicurezza e sofferenza. Ci ripete cioè l’invito con cui cominciò la sua predicazione: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1, 15)
Il Coronavirus, ci siamo detti, ci costringe ad isolarci fisicamente gli uni dagli altri, non deve, però, riuscire a sfilacciare i legami di affetto, amicizia, solidarietà che ci legano. Tante delle nostre consorelle e altri amici , si ritrovano, soli in casa e magari nel bisogno, di piccoli servizi, quindi aggiungiamo che però, ognuno di noi cerca di fare la propria parte, sia concretamente, andando in aiuto delle persone che hanno bisogno con piccoli servizi, sia pensando a chi può far piacere ricevere un saluto e scambiare una parola telefonicamente quindi facciamo qualche telefonata in più o inviamo un messaggio; è un piccolo regalo che parte dal cuore e contribuisce a sconfiggere l’isolamento a cui ci spinge questo virus.
La condizione attuale costituisce però anche una nuova possibilità; perché vivere nei nostri rifugi casalinghi, consente di ripensare al valore delle cose essenziali che fondano il nostro stare al mondo, il senso della nostra vita, mentre altre consuetudini, che il diffondersi del virus ha immediatamente scalzato dalla nostra esistenza, ci fanno riflettere sulla loro effettiva utilità. Tanti lavori urgenti, manutenzioni, pratiche, che dovevamo fare ci sono apparsi immediatamente come cose che non erano indispensabili e alcune persino inutili, al punto che tutto andava avanti anche senza quelle pratiche. Ad esempio la frequenza ai bar, ai locali, ai cinema, l’organizzazione di cerimonie fastose in concomitanza dei sacramenti, le cene ai ristoranti, le vacanze da prenotare, le stesse consuetudini di cui per decenni ci siamo circondati, che sembravano ineliminabili, oggi ci appaiono tutte cose non necessarie, o di scarso valore perché la situazione attuale ci ha riportato alla constatazione che alla fine molte di esse sono inutili, sono un superfluo che nulla aggiunge al nostro vivere umano e cristiano.
Oggi nella nostra comunità, si sente il bisogno di concentrarci su quegli elementi essenziali che vogliamo assolutamente mantenere come le relazioni dirette con le persone, e queste ci mancano, come la preghiera, l’Eucarestia e le Celebrazioni sospese alle prime avvisaglie dell’epidemia e non ancora riattivate, come la cura dei nostri bambini a casa dai nidi e dalle scuole, la cura dei nostri anziani ecc
I nostri confratelli e le nostre consorelle sono consapevoli, di avere ora più tempo per la preghiera, per la meditazione per l’approfondimento della nostra spiritualità. Siamo tutti alle sette del mattino davanti al televisore per ascoltare la Santa Messa del Papa Francesco nella cappella della Casa santa Marta, seguita dalla celebrazione delle Lodi, poi la giornata è scandita da altri appuntamenti: la lectio sul vangelo del giorno, della Abbadessa delle Benedettine di Piacenza, inoltrata a tutti via cellulare, alle 12 il Rosario recitato dal Cardinale Comastri, alle 15 la coroncina della Divina misericordia, quindi i Vespri e Compieta. Alcune ascoltano volentieri le catechesi di Padre Giorgio Maria Farè, sul testo de “L’imitazione di Cristo” pubblicate su youtube. Le nostre giornate sono ricche di possibilità di incontrarci e stare uniti al Signore e questo ci sostiene spiritualmente e ci da anche speranza per il futuro.
Continuiamo a pregare in questo momento di prova e, quando possiamo, preghiamo assieme; usando di quegli strumenti della rete , che però non sono facili per i più anziani, ci ricordiamo, a vicenda nel Signore, e cerchiamo di tenere viva quella comunione con Gesù, con Maria e tra di noi che il Corona virus non può rompere.
Aiutiamoci a trasformare questa difficoltà in un’occasione per andare più in profondità nella nostra fede in Gesù, magari per fare un attento esame di coscienza e appena possibile accostarci alla confessione. Oggi mi veniva in mente quel passo in cui Gesù ci dice “Se dunque presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono.” (Mt 5, 23)e Pensavo che magari ciascuno di noi ha dei rapporti incrinati o interrotti, che giacciono lì come scorie morte che appesantiscono il nostro cuore. Ora abbiamo tempo per pensare a come rimuovere questi macigni da nostro cuore, potremmo scrivere una lettera a queste persone, fare una telefonata, per ravvivare i rapporti tra di noi, per ricucire situazioni di astio o di piccole rivalità. Ed abbiamo così condiviso questo brano della predicazione di Papa Francesco:
“Lasciando da parte pregiudizi e difficoltà di intesa che ci possono essere tra noi, con cuore umile pensiamoci fratelli, uniti da quel legame di amore che Gesù ha creato tra noi grazie al sacramento dell’eucarestia. «Di solito noi proiettiamo in Lui quello che siamo, alla massima potenza: il nostro successo, il nostro senso di giustizia, e anche il nostro sdegno. Però il Vangelo ci dice che Dio non è così. È diverso e non potevamo conoscerlo con le nostre forze. Per questo si è fatto vicino, ci è venuto incontro e proprio a Pasqua si è rivelato completamente. Dove? Sulla croce. Lì impariamo i tratti del volto di Dio. Non dimentichiamo fratelli e sorelle che la croce è la cattedra di Dio. Ci farà bene stare a guardare il Crocifisso in silenzio e vedere chi è il nostro Signore». Solo l’amore custodisce la vita che abbiamo, perché abbraccia le nostre fragilità e le trasforma”.
Se ci aiutiamo in questo discernimento sincero e coraggioso, questa periodo può diventare veramente un tempo di grazia che vede un risveglio delle nostre coscienze che ci porta alla confessione delle nostre infedeltà e alla gioia di una conversione profonda.

Comunità OCDS Piacenza

Carmelitane Scalze di Lodi

A proposito di Pandemia

Da oltre due mesi ci troviamo nell’epicentro dell’emergenza sanitaria che è iniziata proprio nel nostro territorio e si è manifestata qui in maniera pesante e sofferta. Condividiamo con la nostra gente le angosce, il dolore, lo smarrimento, le preoccupazioni che abitano pensieri e sentimenti di tutti in queste settimane di tribolazione. E ancora l’alba di un nuovo giorno è solo intravista da lontano…
Sempre risuona nella memoria del cuore il sibilo lancinante delle ambulanze che sfrecciavano ad intermittenza frequente sulle nostre strade, cupo e doloroso presagio di malattia grave o di morte.
E non riusciremo mai a cancellare dalla mente le notizie strazianti dei decessi nella solitudine e nell’abbandono delle persone care, come pure delle tumulazioni senza esequie e a volte senza la presenza dei familiari.

Le nostre giornate, per il vero, sono trascorse al solito ritmo, senza variazioni notevoli. Solo quelle imposte a tutti dalle autorità civili ed ecclesiali. Già la normale vita di clausura non ha richiesto ulteriori restrizioni governative, e il nostro Vescovo (grazie anche alla sollecitudine dei nostri sacerdoti) ci ha sempre assicurato la celebrazione eucaristica quotidiana, privilegio incomparabile!
Più che da modifiche esterne, la vita monastica è stata scossa da un intimo e intenso travaglio, dalla tensione interiore per tener viva la speranza, la fede e la carità, perché dai nostri cuori fossero travasate nelle anime di tutti.
È arduo sintetizzare le nostre esperienze, che abbiamo fraternamente condiviso, senza trascurare dettagli e sfumature importanti. Perché niente è banale quando si tratta del lavorio del cuore!
Ma tentiamo di dirne qualcosa, senza pretese.

-“Fermatevi e sappiate che io sono Dio”. La parola del Salmo ci è risuonata dentro come un richiamo forte al riconoscimento dell’assoluto primato della signoria di Dio. Sì, non distrazione nelle notizie e dispersione dei sentimenti, ma attrazione verso il centro, raccoglimento in Dio, esigenza forte di stare davanti a Lui per tutti. Volontà, dunque, di “ricentrarci” non per isolarci dal contesto sofferto del nostro popolo, ma per rimanere ancor più nel Cuore.

-Un senso di impotenza sofferta ci ha pervaso di fronte al doloroso sconcerto di molti. Un virus invisibile e piccolissimo ha generato un’immensità di male, che ancora sconvolge inarrestabile il pianeta intero.
Sempre è però prevalsa la certezza che il granello invisibile di senape ha una potenza rigenerante ancor più forte. Il bene, anche se nascosto, è più potente del male.
Le nostre piccole fedeltà, le infinite minuzie cariche di amore di cui può essere costellata una giornata carmelitana sono in grado di sprigionare una carica di bene che pervade il mondo e travalica la storia.
È qui che soprattutto si è focalizzato il nostro impegno.

-Abbiamo poi avvertito più che mai la solidarietà con la gente, soprattutto con i sofferenti, con i piccoli e i poveri, con i molti che – a vario titolo – hanno fatto appello alla nostra offerta e alla nostra preghiera. Anche alcuni nostri familiari sono stati pesantemente aggrediti dal virus ed ora, grazie a Dio, stanno meglio, ma il rischio di contagio rimane altissimo e l’allerta è sempre viva.
Ne abbiamo raccolto e custodito le lacrime, abbiamo ascoltato domande, dubbi, tormenti; laddove possibile abbiamo con umiltà istillato fiducia e consolazione.
Ma abbiamo anche condiviso speranze, progetti, fatiche di operatori sanitari e sociali, di tanti “santi della porta accanto”, di molti testimoni eroici del Vangelo.
Quante esperienze di fede genuina e solida, semi di speranza, gesti di carità nascosta sono venuti a galla in questi mesi … e ancora emergeranno via via dalla marea di dolore che si è riversata nelle nostre città e paesi! Notizie buone che fanno circolare il bene e che abbiamo voluto cogliere come spiragli di luce nelle tenebre di questo momento storico travagliato.
Abbiamo avuto modo di edificarci di tante testimonianze di vita che ci hanno davvero scaldato il cuore.
Medici e infermieri nostri conoscenti che hanno dimostrato una dedizione splendida in momenti di grave emergenza con sussulti di umanità e di carità veramente commoventi.
Volontari ed enti caritativi che non hanno misurato le forze spendendosi fino all’estremo per farsi strumenti della Provvidenza.
Sacerdoti, religiosi e religiose consumati dal loro ministero di carità, di consolazione, di servizio a Dio e al prossimo fino alla fine, e creativi nell’azione pastorale pur di arrivare a tutti o di alleviare le varie solitudini.
Famiglie radunate nella preghiera e nell’ascolto della Parola in raccolte “liturgie domestiche”, che certo hanno partecipato alla Liturgia del Cielo.
Di tutto ci siamo rallegrate, avendo toccato con mano la bellezza e la fecondità di queste testimonianze. Potremmo davvero raccogliere un ricco florilegio di quadretti di sapore evangelico!

-La fragilità della vita, che in un attimo può essere totalmente sconvolta fino anche a spegnersi all’improvviso, ci si è presentata in tutta la sua verità e gravità. Questa dovrebbe aver scosso la coscienza di tutti. Certamente ha richiamato ciascuna di noi agli elementi essenziali della nostra vocazione: l’intercessione per tutti, la centralità assoluta della relazione col Signore, la partecipazione alla passione di Gesù come atto redentivo, l’essere testimoni di speranza pure nei momenti più bui, l’offerta della vita anche nei piccoli o grandi atti di carità fraterna, uno stile di sobrietà fondato sull’essenziale.
Sono appelli salutari ad una qualità di vita più autentica.

-La nostra vita liturgica è stata ancor più sentita del solito perché intrisa dalla grazia di questo tempo di tribolazione. Mai come quest’anno la Liturgia della Quaresima ci è apparsa espressione viva di ciò che i nostri cuori sentivano. Mai la salmodia ci è risuonata dentro così vera, così carica di consapevolezza orante, così fiduciosamente fervorosa.
L’Eucaristia quotidiana, dono preziosissimo, riscoperto come del tutto gratuito e mai “scontato”, è stata vissuta in tutta la sua centralità col vivo desiderio di far partecipe della comunione tutto il popolo di Dio e di intessere eucaristicamente la nostra giornata.
Il dono delle indulgenze attinte dal tesoro della Chiesa, largamente dispensato in questo periodo di emergenza, ci ha visto sollecite e grate fruitrici.
La parola del Papa, specialmente nel momento di preghiera in San Pietro del 27 marzo, ha catalizzato la nostra attenzione e accompagnato le ore difficili di queste lunghe settimane.
Ci siamo servite di vari mezzi di comunicazione per rimanere in contatto con la Chiesa e il mondo sofferente.
Oltre alla preghiera del 27 marzo e alla Veglia Pasquale seguite in streaming in comunione con il Santo Padre, abbiamo usufruito di Skype per qualche video-conferenza formativa, ottime occasioni anche per mantenere il collegamento con i nostri Padri.

È proprio vero che chi cerca il Signore non manca di nulla! Siamo state fatto oggetto di attenzione da parte di molti, che si sono resi disponibili in vario modo per mille piccole necessità, anche andando oltre il nostro bisogno e le nostre richieste. Di tutto rendiamo grazie a Dio!

Che aggiungere? Si apre ora una nuova fase e tutti dicono che niente sarà più come prima, anche se nessuno è in grado di prevedere come sarà il domani.
Noi preghiamo perché tutti sappiamo far tesoro di questo tempo di prova, che sicuramente ci ha segnato e ferito. Più che di parole, ora abbiamo bisogno di tacere, per portare umilmente a Dio i pesi dei nostri fratelli e accogliere con amore la sua volontà di bene per il mondo.

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